Botte di Vino

Il Tazzelenghe: Il taglio della lingua come prova di identità?

Tempo di lettura stimato: 6 minuti
Tazzelenghe

In questi mesi, scrivendo articoli sui nostri autoctoni “minori”, mi sono spesso imbattuto in situazioni analoghe a questa che vi racconto oggi: salvataggi in extremis, pochissimi ettari dedicati, uno sparuto ma determinato gruppetto di produttori ostinati a cui dedicare, non dico uno stadio, ma almeno il nome di una piazzetta nel centro del paese.

Viene spontaneo chiedersi cosa spinga costoro a mantenere in vita queste produzioni quantomeno “complicate”.

Per il Tazzelenghe parte della risposta va ricercata nell’intelligenza dei viticoltori friulani, i quali hanno ben compreso che rincorrere le mode è pericoloso, che il loro territorio è piccolo ma con una straordinaria varietà di suoli che consente di diversificare la proposta enologica ed ottenere un vantaggio competitivo soprattutto su alcuni mercati internazionali.

La restante parte è in una radice di natura antropologica che affonda sulla tradizione e la cultura agricola di queste comunità ma anche sulla tipicità di produzioni che sono il risultato di interazioni simbiotiche millenarie con il territorio che li ospita. Esige rispetto e cura ma dona ricchezza e benessere.

I viticoltori friulani sono consapevoli che ogni vino realizzato qui, deve esprimere la propria personalità ma anche adeguarsi ai tempi ed ai gusti del consumatore, sfruttando al meglio le innovazioni tecnologiche e le moderne conoscenze di ingegneria agricola.

Non ci resta che andare a scoprirlo!

La Storia

Il nome deriva dal dialetto friulano e significa “taglia lingua” (anche conosciuto come Tacelenghe, Tazzalinghe o Tazzalingua) chiaro riferimento al vino da esso ottenuto, che nel palato si caratterizza per la  elevata acidità accompagnata da altrettanto marcata tannicità, la cui combinazione dà (o meglio dava) proprio un effetto di tagliare la lingua.

Le prime testimonianze del Tazzelenghe risalgono al 1398, così come si evince dallo studio di alcuni documenti commerciali della Serenissima Repubblica di Venezia.

Scompare dalle fonti storiche per qualche secolo rischiando di essere espunto dai sacri testi dell’enografia mondiale a causa delle malattie (oidio, peronospora e fillossera) che, a fine Ottocento, costringono gli agricoltori a sostituire i vitigni autoctoni, con quelli “internazionali” più resistenti, produttivi e maggiormente commerciabili.

Norberto Marzotto, nella sua “Ampelografia del Friuli” del 1923, così lo descriveva: “Tazzalenghe nera (sinonimi: Tazzalinghe o Tazzalingua) è vitigno speciale del Friuli, non diffusamente coltivato si apprezza assai perché dà vino ricco di acidità che lo rende vivo di colore, sapido e serbevole”

Un grande ampelografo, Guido Poggi, nel suo Atlante ampelografico (1939) descrive il Tazzelenghe come “Vecchio vitigno friulano coltivato abbastanza estesamente un tempo e oggi pressoché scomparso per lasciar posto alle varietà di merito. Vino duro e robusto alla nascita, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Tacelenghe”, ossia “Taglia-lingua”, s’ammorbidisce dopo alcuni anni d’invecchiamento mantenendo però sempre traccia della sua nettissima personalità”.

guido poggi

In un’epoca di grande povertà dove occorreva vendere velocemente ciò che era stato costoso produrre (il consumo di un vino in genere doveva avvenire entro l’anno) decidere di realizzare un vino per sua natura non immediato, poteva tradursi in un fallimento totale. Questo bastò a far risuonare il requiem per il Tazzelenghe relegandolo a “reperto storico”, prigioniero di una viticoltura pre-fillosserica, non destinato a vedere il sorgere dell’epoca vitivinicola moderna.

Con fortuna e coraggio, agli inizi degli anni 80 del secolo scorso anche in Friuli è iniziato un importante recupero di tutte quelle varietà autoctone che correvano verso l’oblio, attraverso una decisa ri-valorizzazione del loro eccezionale patrimonio di qualità e tradizione: in sintesi una piccola riscossa anche per il  Tazzelenghe.

Certo non è che oggi rispetto al passato le sue fortune siano cambiate notevolmente!

Rimane un vitigno poco coltivato (secondo alcuni perennemente a rischio estinzione) ed ancora troppo poco conosciuto ma in grado di realizzare, per esempio, un’interessante volume di vendite sul mercato statunitense dove finiscono oltre la metà delle bottiglie prodotte.

Areali e terreni

Nato nel cuore del Friuli, tutt’ora mantiene la propria area di produzione circoscritta quasi esclusivamente alla provincia di Udine e in particolar modo sulle colline dei comuni di Buttrio, Manzano e Cividale del Friuli.

Il terreno si caratterizza per un’alternanza più o meno regolare di marne argillose e arenarie (Flysch marnoso-arenaceo) ovvero la caratteristica ponca friulana: un terreno ricco di sali e microelementi, dal quale la vite riesce ad estrarre preziosissime sostanze che conferiscono ai vini un’elegante mineralità.

La ponca

Come tutti i suoli a prevalenza argillosa questi terreni faticano a scaldarsi in primavera, ciò determina inizialmente un germogliamento ritardato delle piante che in qualche modo le preserva dai possibili ritorni di freddo e dalle gelate primaverili, tutt’altro che infrequenti in questa regione.

Per contro, questi stessi terreni sono in grado di trattenere a lungo il calore specialmente se ricevono un elevato numero di ore di luce ed hanno un’esposizione ottimale.

Ciò favorisce l’allungamento del ciclo vegetativo, elemento fondamentale per consentire il raggiungimento di ottimi livelli di maturazione fenolica per un vitigno tardivo come il Tazzelenghe ed in generale per tutte quelle uve destinate alla produzione di vini da lungo invecchiamento.

I rilievi collinari si caratterizzano, inoltre, per le buone escursioni termiche che si registrano a fine estate, grazie alle brezze notturne di origine marina provenienti dal vicino Mare Adriatico e la presenza delle Alpi Giulie che riparano le coltviazioni dalle fredde correnti del Nord Europa.

I prodromi ideali, dunque, per lo sviluppo e la conservazione di molte componenti aromatiche varietali.

 Il vitigno ed il vino

L’attuale biotipo utilizzato è un vitigno equilibrato, poco sensibile alle avversità, con una produzione bilanciata ed un’ottima risposta ai cambiamenti climatici.

Recenti indagini sul DNA, fatte realizzare dai produttori, hanno rilevato la sua somiglianza genetica col Refosco locale.

Le epoche di germogliamento, fioritura e invaiatura sono medie o tardive; i grappoli sono di medie dimensioni mentre l’acino è medio-grosso, di forma sferoidale leggermente schiacciata, con buccia pruinosa dal colore blu-nero quasi viola.

Dal Tazzelenghe, vinificato in purezza, si ottengono vini di alta qualità che necessitano di lunghi affinamenti in legno, dato l’elevato carico tannico, per smorzarne le durezze e cercare di far esprimere al meglio il bouquet aromatico che è ampio e piacevole.

Lo si può annoverare tra quei vini difficile da “domare” ma dalla fortissima personalità ed identità territoriale, in grado di suscitare forti sensazioni: o lo ami o lo abbandoni.

Un assaggio di…

Conte d’Attimis-Maniago 2012 14,5%

La storia della famiglia degli Attimis risale addirittura al Patriarcato Ecclesiasitco di Aquileiala (dal 1077 in poi), come testimoniato dall’imponente archivio di famiglia nel quale si ritrovano anche le tracce di una significativa produzione di vino già a partire dal 1700 .

Storia, tradizione ed orgoglio familiare che oggi il Conte Alberto non smette mai di comunicare tramite i suoi vini, Tazzelenghe compreso.

Appassimento delle uve in fruttaio per una trentina di giorni, lunga macerazione a temperatura controllata, maturazione in legno grande e poi piccolo per circa 30 mesi a cui fa seguito un affinamento di almeno nove mesi in bottiglia nella cantina sotterranea della tenuta.

Il calice mostra un vino non particolarmente carico dal punto di vista antocianico sebbene l’intensità cromatica non appaia quella di un vino di 8 anni, nessuna sfumatura granata o aranciata.

Frutti rossi maturi, una balsamicità mentolata, note vegetale molto fresce quasi di clorofilla e di genziana che poi lasciano spazio a sentori più terragnei e di sottobosco.

Il sorso è un piacevole succo di mirtilli e piccoli frutti rossi con una perfetta corrispondenza gusto-olfattiva anche se i tannini risultano non perfettamente maturi, poco integrati e leggermente polverosi (forse a a causa di un settembre eccessivamente piovoso e fresco).

Lasciato respirare ancora per qualche minuto, al naso regala una poderosa essenza di legnetto di liquirizia e anice. Il finale è sobrio senza sbavature amarognole.

La Viarte Riserva 2013 13,5%

Anno di impianto 1983 e prima produzione nel 1990 per questo Tazzelenghe realizzato dall’azienda La Viarte nel comune di Prepotto (lo stesso dove è di casa un’altra grande uva nera friuliana, lo Schioppettino).

Di sicuro uno dei vigneti più “storici” insieme a quelli del Conte d’Attimis-Maniago.

L’annata 2013 è stata particolarmente favorevole e le condizioni climatiche, anche durante la vendemmia, sono state ottimali consentendo la perfetta maturazione delle uve e delle loro componenti fenoliche – mi comunica l’azienda.

Questa “Riserva”, svolge vinificazione in acciaio ed affinamento all’interno di barrique nuove di rovere per un periodo di 12 mesi. Termina il suo affinamento con una sosta in bottiglia per almeno 3 anni.

Colore rubino intenso molto carico, al naso sono subito percebili i canonici sentori di frutta rossa scura (mora prugna, gelso, ribes) per poi abbandonarsi alle fragranze della polvere di caffè, dei toni scuri di grafite, inchiostro ed un lieve ma gradevole aroma di ruggine che completa la componente odorosa.

Il sorso è corposo con tannini evoluti e una freschezza poderosa, entrambi ben integrati e bilanciati senza sbavature, nemmeno quando incontrano la vigorosa sapidità finale. Il finale tende ad intricate derive amarognole.

Le Due Torri 2013 13,5%

L’ Azienda di Ermanno Maniero si trova nel comune di Corno di Crosazzo (UD). Con un trascorso nella Marina Mercantile solo di recente Ermanno ha deciso di dedicarsi alla produzione del vino nella sua terra.

Il vigneto, infatti, è del 2004 mentre per questo vino sono 36 i mesi di affinamento sulle fecce nobili utilizzando barriques di ciliegio (dopo un passagio in legno grande).

Una scelta stilistica voluta da Ermanno e dall’enolgo, in quanto la maggiore porosità di questo legno rispetto al rovere, permette di ottenere un affinamento più deciso.

Nel calice il vino si mostra di un colore rubino carico e sostanzioso che lascia presagire ad un sorso succoso e pieno.

Il naso si apre subito su toni dolci di cacao, aromi di torrefazione, di cioccolatino after-eight; poi le sensazioni si fanno più scure con sentori di humus, qualche sbuffo di fiori appassiti ed un tocco di fumè nel finale.

In bocca l’acidità è contenuta e non poderosa come nel primo assaggio, il gusto è pieno con tanta liquirizia, marasca matura e una balsamicità mentolata; i tannini sono ben strutturati ma non del tutto amalgamati con le altri componenti. Il finale è sapido senza scodate amare.

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Andrea Donà

Andrea Donà

Attraverso il mio blog non racconto solo di vino ma anche storie di uomini e di umanità, di sogni e di speranze, di idee visionarie e di grandi intuizioni.

Aforismi sul vino

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