Botte di Vino

Da Prosecco a Valdobbiadene, viaggio di sola andata per Il toponimo simbolo di un mercato diventato “divisivo” tra chi lo abbandona e chi non vuole rinunciarci

Viaggio nella culla della bollicina italica più conosciuta al mondo, per capire i motivi di una scissione che parla al cuore e all’amore per queste colline ma anche alla testa e ad un mercato da più di 600 milioni di bottiglie che rischia di appiattire tutti verso il basso.
Tempo di lettura stimato: 5 minuti

Il prosecco è da decenni un brand internazionale affermato e notissimo al grande pubblico. La sua esplosiva diffusione è da attribuirsi, tra gli altri, a tre elementi: una beva pronta e facile per tutti i palati, una considerevole disponibilità sugli scaffali, un eccellente rapporto qualità-prezzo. Eppure, da qualche anno, questo perfetto e oliato meccanismo che ha portato la bollicina veneta ad essere la più diffusa al mondo (627 milioni di bottiglie nel 2021, contro le 320 dello Champagne e le 250 dello spagnolo Cava), sembra mostrare qualche fastidioso scricchiolio.

Una voce sempre meno silenziosa si alza audace, è quelle dei alcuni produttori di Conegliano-Valdobbiadene che vogliono abbandonare questo termine, eliminandolo non solo simbolicamente dalle proprie etichette (cosa peraltro già consentita dal disciplinare della DOCG) ma anche strategicamente dalla comunicazione e nel rapporto con il consumatore finale. Proviamo a capire i razionali che ci sono dietro questo gesto da molti considerato “troppo estremo” leggendo le risposte che alcuni noti produttori hanno dato a Pambianco Wine&Food: Foss Marai, Col Vetoraz e La Tordera.   

I motivi del “gran rifiuto” (ma senza viltade)

Per Andrea Biasiotto, direttore commerciale di Foss Marai il motivo è chiaro ma la scelta è sofferta: “Valdobbiadene rappresenta la storia e la tradizione del prosecco, rinunciare a questo termine per noi non è stato facile ma dal 2016 lo abbiamo ritenuto un passaggio necessario per difendere il nostro lavoro e valorizzare al massimo la qualità di quello che mettiamo in bottiglia. Per noi la reputazione del brand è tutto”.

Dal Ceo di Col Vetoraz, Loris Dall’Acqua, la risposta arriva ancora più ferma: “Abbiamo deciso di abbandonare la parola “prosecco” già dal 2007 perché ritenevamo che la sovrapposizione tra DOC e DOCG creasse solo confusione nelle scelte del consumatore. Sebbene sia stato un passaggio non lineare, con un breve ripensamento nel 2009 e difficile per via dello stretto rapporto che abbiamo tra noi produttori, dal 2017 la nostra posizione è chiara ed inequivocabile, tant’è che non usiamo più il termine nemmeno nella comunicazione”.

Gabriella Vettoretti, direttore commerciale a La Tordera, nonché titolare insieme ai due fratelli Paolo e Renato, ha ascoltato il cuore e il mercato: “L’azienda nasce nel territorio di Cartizze, la zona storica per eccellenza per quella che noi chiamiamo “Vite Glera” e non Prosecco. Per noi il territorio è un valore assoluto da difendere e valorizzare. Io sono nata qui, le mie radici e della nostra famiglia, sono accanto a quelle delle nostre viti.

Inoltre, ho dato ascolto al mercato. Seguendo la parte commerciale, infatti, mi sono resa di quanto fosse necessario distinguersi per evitare fraintendimenti e ingenerare confusione nel consumatore. Già dal 2016 era evidente che si stesse andando verso un appiattimento del mercato non solo in termini di prezzo ma anche di qualità e di valore percepito dai clienti, per cui differenziarci modificando le etichette e il packaging è stata una logica conseguenza.

Le azioni intraprese anche in conseguenza del mercato di riferimento

“Come Foss Marai” – prosegue Biasiotto – “produciamo circa 2 milioni di bottiglie (di cui il 50% in DOCG) con una suddivisione 70% Italia e 30% estero e siamopresenti quasi esclusivamente sul settore ho.re.ca., per cui abbiamo realizzato un piano di comunicazione finalizzato per agenti e distributori. Far comprendere il nostro messaggio è stato facile in Italia ma superato il confine abbiamo dovuto continuare ad inserire il termine “prosecco” in etichetta. Con gli importatori, quindi, abbiamo pensato ad una serie di visite in azienda con spiegazioni tecniche e brochure illustrative, in quanto la comunicazione del brand è demandata esclusivamente a loro”.

“Il nostro mercato” racconta ancora Dall’Acqua – “vale circa 1,2 milioni di bottiglie ed è tutto in DOCGcon una separazione ormai consolidata (80% Italia e 20% estero), per cui nel 2018 abbiamo varato un progetto di comunicazione della durata di 12 mesi dedicato alla clientela ed ai referenti oltre confine, tutti hanno compreso perfettamente il nostro messaggio: la passione e l’amore per questo piccolo territorio dalla storica vocazione vinicola e la ferma volontà di difenderlo”.

A La Tordera lavoriamo continuamentesulla comunicazione con tutti gli intermediari della nostra value chain – risponde chiaramente Gabriella Vettoretti – “e le nostre 1,5 milioni di bottiglie (di cui il 45% in DOCG Valdobbiadene e un 10% in DOCG Asolo) finiscono per il 70% in Italia ed il restante 30% all’estero. Per cui a fronte di numeri piccoli e un mercato di riferimento interno è più facile lavorare per veder riconosciuto il proprio valore. Dal 2020 abbiamo realizzato, in azienda, un B&B perché pensiamo che l’hospitality sia un eccellente mezzo per far capire ai clienti l’identità del nostro territorio. Su quest’ultimo aspetto un grande aiuto è arrivato nel 2019 quando abbiamo ottenuto il riconoscimento, da parte dell’UNESCO, di Patrimonio dell’Umanità”.

La reazione dei Consorzi e la prova dei numeri  

Per Foss Marai, la DOCG non ha mai rappresentato un ostacolo rispetto alla decisione aziendale di eliminare la parola prosecco. Semmai più una “moral suasion” basata sul principio che un’eliminazione sistematica del termine storico da tutta la denominazione azzererebbe il lavoro fatto negli anni, avallata dall’impossibilità formale di ottenere il consenso da parte di tutti i soci.

Più conflittuale sembra essere il rapporto tra l’organo di tutela e Col Vetoraz, i cui vertici si dichiarano in un certo modo disamorati nel partecipare a lavori assembleari che operano per ingessare lo status quo evitando di centrare l’obiettivo di una fattiva e reale rappresentabilità del territorio (vedi modalità di elezioni del CDA ndr). Per non parlare della “bizzarra” ipotesi avanzata dalla DOC di cambiare graficamente la storica piramide qualitativa (che vede al vertice la DOCG e l’enclave di Cartizze) in una ellisse bidimensionale a cerchi concentrici.

Dispiaciuto, infine, il commento de La Tordera che nel tempo ha visto innalzarsi un vero e proprio muro nella comunicazione soprattutto con i grandi produttori che non comprendendo le reali motivazioni hanno stigmatizzato la decisione, derubricandola a mero gesto di chi vuole “estraniarsi dalla lotta” dopo aver contributo tanto al successo del prodotto.

Unanime per tutti il giudizio sui numeri: alla conta in DOCG, su un totale di 216 licenze, i “secessionisti” sarebbero una minoranza che però vale un 20%-25%. Il resto si divide equamente tra decisamente contrari (35-40%) e salomonicamente “indecisi” (il restante 40%). Ancora unanime è, poi, il suggerimento sullo stile di comunicazione del Consorzio di Tutela verso i mercati esteri che dovrebbe essere più unitario e meno divisivo possibile.

Peso della scelta in termini di maggior valore e quote di mercato ottenuti.

Anche qui la risposta delle tre aziende converge. Si tratta di brand già affermati da tempo, riconoscibili per il valore qualitativo espresso ed un posizionamento consolidato sul mercato di riferimento che per tutti è quello domestico. Ergo la scelta di eliminare la parola prosecco non ha avuto particolari effetti positivi sui i rispettivi profit&loss né tanto meno sulle quote di mercato.

Resta quindi la volontà di comunicare un territorio e difendere l’appartenenza ad un modello produttivo che vede al centro la qualità ed il rapporto con il consumatore finale. In sostanza la necessità di potersi differenziare all’interno di un mercato che sotto la spinta dei grandi player (che però spediscono prosecco negli angoli più remoti del globo) sembra appiattirsi verso una produzione spersonalizzante, lontana dalla tradizione e da quelle zone storicamente vocate costituite da incantevoli colline e piccole comunità.

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Andrea Donà

Andrea Donà

Attraverso il mio blog non racconto solo di vino ma anche storie di uomini e di umanità, di sogni e di speranze, di idee visionarie e di grandi intuizioni.

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